SARA LEGHISSA | SINFONIA MATERICA

31 maggio - 5 giugno 2021

Diario 2021 - 2022
Diario 2021 - 2022

L’incontro con questo progetto di Sara Leghissa è avvenuto durante la prima edizione di Prender-si cura. Sara è arrivata a La Pelanda proprio all’inizio della sua ricerca artistica, sono stati giorni aperti alla sperimentazione e all’indagine sulla suggestione che ha mosso l’artista, da sempre interessata a indagare lo spazio pubblico come soggetto in dialogo con il corpo performativo, di lavorare sul suono a partire dalla tecnica del foley cinematografico.

Il suo ritorno a giugno del 2021 ha significato per noi vedere l’evolversi del progetto, ci siamo trovate davanti un oggetto artistico che stava prendendo una direzione precisa. In questa seconda fase del lavoro, infatti, Sara è stata affiancata da Marzia Dalfini sulla costruzione dell'identità visiva e sulla scenografia del lavoro che si muove tra performance e installazione.

Abbiamo incontrato Sara alla fine della sua residenza per capire in quale momento fosse la ricerca e abbiamo parlato del punto in cui è il lavoro e cosa è successo tra la prima residenza e la seconda. 

Con Sara il dialogo sull’evoluzione del progetto è stato continuo, questo è un altro tassello che nel tempo è diventato parte di questo programma di residenze; molti dei dialoghi con artiste e artisti, infatti, continuano oltre il momento della residenza, non si esauriscono con la presenza fisica e la condivisione di uno spazio. In alcuni casi, questo andare oltre ha formalizzato i ritorni di alcune presenze, come nel caso di Sara.

 


 
 

4.6.2021

 

Ilaria Mancia: Puoi raccontarci a che punto è il lavoro rispetto alla tua prima residenza al Mattatoio?

 

Questo lavoro parte da un incontro con un ragazzo che di professione fa il foley. Si sono, poi, 

sviluppate delle immagini e il desiderio di realizzare questo dispositivo. Nella scorsa residenza qui al Mattatoio ho lavorato con Manuela, anche lei foley di professione. In quei giorni ci siamo concentrate molto sulla realtà esterna e sul cercare di riprodurre i suoni di tutto ciò che passava nello spazio pubblico, non solo i passi. In quel momento ero aperta a molte interazioni visive come il video o a soluzioni di carattere installativo, tipo poster per creare una relazione con ciò che accadeva all’esterno. Nei mesi sono tornata con il pensiero a quel primissimo incontro e mi sono concentrata sugli elementi che avevo già: i materiali e la possibilità di calpestarli. Ho iniziato a immaginare un concerto di passi. Ho eliminato tutto il resto e durante la residenza a Nyon ci siamo trovate, io e Marzia Dalfini, per questioni logistiche, a dover inscatolare i materiali. Questa immagine, in realtà, mi ha parlato a un altro livello e ho pensato potesse essere una possibilità, una modalità di aprire al pubblico il dispositivo che stavo immaginando. L’intuizione è stata quella di immaginare questi materiali come dei piccoli universi abitati da microrganismi, vorremmo costruire un allestimento iniziale in cui si invita il pubblico a guardare. 

Abbiamo deciso di mantenere una superficie di vetro come separazione tra dentro e fuori, per tenere viva anche l’immagine del rettilario da cui sono partita. Il pubblico fruirà, quindi, questa esposizione che, per ora, ho chiamato Territori del Pianeta, attraverso una vetrina. 

La seconda parte del lavoro prevede l’ingresso della performer che utilizza questi materiali come strumenti di lavoro per riprodurre i suoni che passano fuori dalla vetrina. C’è quindi uno scarto: i piccoli mondi contenuti nelle scatole si staccano da qualsiasi romanticismo e diventano funzionali all’azione scenica della foley.

 

Paola Granato: Come hai scelto i materiali? 

 

Sara Leghissa: Li ho scelti in base ai suoni, sono materiali usati dai foley. Con Marzia abbiamo inserito altri materiali che possono essere visivamente suggestivi. Elementi fragili che creano un suono delicato.

 

Paola Granato: Varieranno in base al luogo in cui realizzerai la performance?

 

Sara Leghissa: Mi piacerebbe avere una serie di materiali fissi, ma, sicuramente, ci saranno delle cose che variano. Da Nyon a Roma, ad esempio, parecchie cose sono cambiate, dipende sia dal luogo che dalla stagione. L’idea di fare ricerca e di realizzare questa esposizione di microrganismi nasce dalla lettura di Didi-Huberman. Nel testo si parla di un gesto che può diventare un piccolo deserto che mi ha fatto anche pensare a che cosa lo abita. All’inizio avevo pensato di fare anche della fiction rispetto a questo, poi, invece, parlando con altre persone e anche con mia mamma che è microbiologa, ho fatto una ricerca sui diversi microrganismi che abitano questi materiali. Vorrei che ci fosse anche una connessione con questo mondo in scatola che prima viene osservato e, poi, distrutto e calpestato. Mi piacerebbe capire come spostare lo sguardo dal foley che arriva e calpesta tutto, al macro, cioè, al fatto che anche noi siamo un mondo nei mondi. Vorrei che non fosse dichiarato e troppo concettuale, ma mi piacerebbe costruire uno slittamento per cui si esce e si capisce che siamo noi dentro un frame più grande. Per me la narrazione sarà visiva e nelle mani degli spettatori. 

Ci saranno delle parti scritte che illustreranno quali tipi di microrganismi sono presenti e vorrei trovare una citazione che racchiuda anche il concetto della scala.

Ora sul vetro c’è scritto: “Fai i primi passi su questo nuovo territorio, incontri una forma di vita, lasciala in pace”. Una parte della citazione viene dal lavoro di una compagnia svedese in cui i performer lavorano in uno stomaco ricostruito, e fanno dei report da lì.

 

Paola Granato: Fai esattamente il contrario, quelle forme di vita non le lasci in pace!

Come stai pensando di lavorare sul suono?

 

Sara Leghissa: L’audio sarà fuori insieme al pubblico, l’azione si riferisce a passaggi di persone casuali. È come un concerto solo, fatto con i suoni riprodotti delle persone che passano casualmente. Sto pensando alla possibilità di creare un tappeto sonoro indipendente.

La scelta del luogo è importante, deve essere abitato ma non eccessivamente, non ci deve essere rumore.

 

Paola Granato: Hai rovesciato il dispositivo di visione rispetto a Will you marry me? Il tuo lavoro precedente.

 

Sara Leghissa: stavo pensando che forse sarò io a fare il foley, ma sono ancora indecisa. Da una parte se lo fa qualcuno con la conoscenza tecnica porta sulla scena un sapere specifico e, inoltre, io sarei meno responsabilizzata. Dato che nasce dal mio incontro con un foley, può avere senso, anche dal punto di vista drammaturgico, che sia io a essere in scena. In questo caso ci sarebbe, effettivamente, un ribaltamento totale rispetto a Will you marry me?, dove sono di spalle tutto il tempo e attacchino poster per mezz’ora e poi vado via, non vedo mai nessuno in faccia. In questo caso è solo attraverso la relazione che attivo il dispositivo. Rispetto al mio percorso sarebbe un dato importante.

 

Ilaria Mancia: come pensi di far emergere la prima parte, la dimensione più installativa, rispetto alla funzione che queste cose prendono nella parte performativa?

 

Sara Leghissa: Con Marzia stiamo capendo come fare. Stiamo provando a variare tutti gli elementi: le luci, le scatole e la quantità in esse contenute. Il desiderio è quello di arrivare al punto che la parte installativa abbia una vita autonoma. 

 

 

Rettilario di Sara Leghissa ha debuttato nella cornice del Festival Parallèle di Marsiglia a gennaio 2022 e a maggio è stato presentato nell'ambito della rassegna re-creatures 2022.

 

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Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma.
Padiglione 9B, Performer: Prinz Gholam
13 luglio, ore 12-13
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13 luglio, ore 12-13
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