ALEXIA SARANTOPOULOU | SUONO E MATERIA. UN’AZIONE PITTORICA IN SCENA

8 - 13 giugno 2021

Diario 2021 - 2022
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Quello di Alexia Sarantopoulou e Ondina Quadri è un ritorno all’interno di Prender-si cura. Per questo secondo periodo di lavoro su Emilio - il primo spettacolo da regista di Alexia che vede come protagonista la presenza performativa di Ondina - il suono è stato l’elemento fondamentale di indagine e l’ultimo tassello prima del debutto a Santarcangelo Festival.

Il lavoro si basa sul testo di Jean Jacques Rousseau Emilio o dell’educazione e attinge a un immaginario fortemente pittorico spostando così i confini dell’ambito performativo.

 

 
 
 
18.6.2021

 

Ilaria Mancia: Che cosa è successo in questa residenza?


Alexia Sarantopoulou: In questi giorni ci siamo concentrate sul lavoro sul suono con Yorgia Karidi, musicista e artista visiva greca, che realizzerà una parte delle musiche. Alcune tracce sono brani famosi che lei ha, poi, rielaborato; il brano di Lena Platonos presente nello spettacolo, ad esempio, dura cinque minuti e lei lo ha lavorato fino a farlo durare venti. Per Emilio abbiamo lavorato in maniera diversa dal solito, è stato un dialogo tra me e Yorgia.

Siamo alla seconda residenza sul suono, la nostra idea è quella di avere un suono che abbia una continuità ma che porti un’atmosfera precisa. A volte si tratta di un accompagnamento all’azione, altre volte è un elemento che si aggiunge all’immagine. Sono dei suoni sottili, ci sono tantissimi suoni messi insieme. Una delle tracce che ha portato Yorgia è la registrazione dell’interno di una cattedrale, si sentono tutti i suoni delle persone che entrano, i passi, le sedie, l’organo. 

L’idea iniziale era di fare quasi un live set durante lo spettacolo, poi, come spesso succede, si capisce che non tutto è fattibile e si deve cambiare idea. 

Mi interessa portare sulla scena il rapporto molto stretto che aveva Rousseau con la musica, visto che era un compositore, insegnante di musica e critico musicale; era così che si guadagnava da vivere. Per questo motivo la musica è molto presente nello spettacolo. Quando ho letto Emilio ho pensato ai racconti di Laurie Anderson e alla fine dello spettacolo c’è un riferimento diretto a The end of the world, uno di questi racconti. Il testo di Rousseau è come una narrazione musicale, perché ha anche un ritmo e una scrittura molto particolari. Per me, infatti, non è interessante il contenuto, ma lo stile di scrittura. 

Ondina Quadri: Questi passaggi sono stati sempre molto diversi, fare la stessa cosa con un paesaggio sonoro che muta per me è stato un gran cambiamento.

 

Alexia Sarantopoulou: è stato interessante anche il processo, trasmettere una cosa a Yorgia che io avevo molto chiara in testa è stato complesso. 


Paola Granato: Potete dirci qualcosa su l’ultimo pezzo invece?

 

Alexia Sarantopoulou: Ci abbiamo lavorato io, Ondina ed Elena Bastogi, aiuto regista. Mentre in scena si improvvisava io avevo il computer e sono partita da un pezzo di Vivaldi e poi ho messo un pezzo sull’altro unendo generi molto diversi tra loro, per me rappresenta il libro.

Ho usato Vivaldi perché volevo un compositore di quel periodo. Nello spettacolo volevo riversare la mia visione del libro, ci sono molte cose forzate, molti cliché e dell’emotività che è persino esagerata, ho scelto Vivaldi perché accompagna bene questi sentimenti. Questa scelta mi ha fatto entrare in crisi, ho cercato di sostituire molte volte quel pezzo, ho fatto anche tanta ricerca, alla fine, però, l’ho lasciato. Nel lavoro c’è un altro pezzo di Vivaldi molto diverso, entrambi i brani che abbiamo scelto sono molto usati nel cinema. Anche se non c’è mai nel libro, io cercavo qualcosa che rompesse la mansuetudine di Emilio. Mi immaginavo un Emilio adolescente che andava contro il mondo, c’è il pezzo di John Zorn più punk. Fin dall’inizio volevo mettere un pezzo di Zorn. 


Ilaria Mancia: È cambiata la tua percezione rispetto al testo?


Alexia Sarantopoulou: Direi di no. L’ho letto tre volte e ogni volta scopro qualcosa di nuovo. Lo trovo anche comico.


Ilaria Mancia: Alla fine di questa settimana dove siete?


Alexia Sarantopoulou: Non me lo aspettavo, ma direi che siamo arrivate alla fine. Ho sempre la sensazione che fino all’ultimo non si finisce mai, che le cose si possono modificare. Alla fine, un lavoro è un organismo che muta sempre. 


Ilaria Mancia: Tu, Ondina, rispetto al fatto che Alexia sia la regista di questo lavoro?


Ondina Quadri: A me piace molto che lei sia la regista e che io possa fare l’attrice. È ovvio che poi facciamo molte cose insieme, ma in sala la divisione dei compiti è chiara e anche a me dà più libertà nel momento di fare delle proposte o di interpretare qualcosa in un modo specifico. Posso continuare ad avere il mio punto di vista senza entrare e uscire da ruoli diversi.


Ilaria Mancia: E del personaggio di Emilio che cosa ne pensi?


Ondina Quadri: Io a Emilio voglio bene. Mi piace questa figura di ragazzino, in qualche modo la trovo aderente a me, nel mio universo c’è questo aspetto. Portare in scena un libro che parla dell’educazione di un fanciullo, da quando è molto piccolo a quando è grande, mi piace molto.


Paola Granato: Ricordo che nella conversazione precedente raccontavate dell’arrivo di un personaggio femminile.


Alexia Sarantopoulou: Alla fine del libro arriva Sofia, che sarà la compagna di Emilio, si innamorano e si sposano. Noi abbiamo usato questo pezzo di Elena Platonos che si chiama L’amore sbagliato. E nel nostro lavoro Sofia non arriva mai e Emilio rimane solo/sola.


Paola Granato: Credo sia solo/sola in mezzo a molte cose.


Ondina Quadri: C’è, infatti, una riflessione sull'essere e imparare con la natura. Mi interessa molto il discorso di Rousseau sul ritorno impossibile allo stato di natura. 

 

Ilaria Mancia: Che spazio ha la dimensione del gioco all’interno del lavoro?


Ondina Quadri: Alexia è molto precisa, anche io devo esserlo più di quanto lo sia di solito. Lo spettacolo è tutto coreografato, però all’interno di quella struttura ho ritrovato uno spazio per il gioco che avevo perso, nel momento in cui bisognava provare e mi ritrovavo sempre a fare gli stessi movimenti. Per me lo spettacolo dura pochissimo anche se stare da sola in scena è difficile perché mando avanti tutto da sola, non mi sento per niente osservata perché sono nel mio mondo.

 

Paola Granato: Cos’è per te la figura di Alexia?


Ondina Quadri: Non ho ancora capito dove sarà, ma per me è come se non esistesse, fa parte di tutta la macchina intorno. Anche quando è sul palco io non la vedo. La relazione che si stabilisce la percepisco allo stesso modo di quando è in regia e si occupa delle luci, anche se mi illumina con la torcia io la seguo come seguo una luce spot che mi illumina. In ogni caso non la percepisco come un’imposizione, quando sono lì dentro io sono nel mio universo.


Alexia Sarantopoulou: Per me la cosa interessante è che, pur avendo la tendenza a voler controllare tutto, abbiamo fatto questo spettacolo in cui ci sono molti elementi che non possiamo controllare. Quando sono sul palco è molto strano vedere il meccanismo che a volte si inceppa, e io pur essendo molto vicina, non posso intervenire. A volte con lo sguardo vorrei comunicare a Ondina tutto ciò che vedo che non va.


Paola Granato: La cosa che mi sembra interessante del lavoro è proprio questa: l’orizzontalità che è data dalla vita propria degli oggetti.


Alexia Sarantopoulou: Infatti è strano, è tutto coreografato ma allo stesso tempo è tutto molto fragile.


Ilaria Mancia: Riguardando il lavoro, per me, rimane molto potente la questione del quadro tridimensionale. Essere davanti a un’immagine che ha dei rimandi e mi porta alla bidimensionalità. Mi incuriosisce il percorso che traccia la materia a prescindere da Ondina.


Ondina Quadri: Il rapporto con gli oggetti è molto presente nel lavoro, è allo stesso tempo un’incognita ma anche una grande amicizia. Uso vari oggetti che hanno comportamenti diversi, non so mai veramente che cosa faranno.


Alexia Sarantopoulou: Abbiamo lavorato come se fosse un quadro. All’inizio c’è la natura morta, con dei chiari riferimenti alla pittura. Dopo diventa come un percorso all’interno della storia delle arti visive, fino al lavoro sul corpo.

Quando leggo un libro traduco subito tutto in immagini, non mi capita molto spesso con il suono. 

Le immagini che oggi sono in scena non sono state immediate. Ne ho parlato con Ondina proponendo delle elaborazioni di alcune suggestioni, e poi lei le ha tradotte proponendo delle azioni. Si è instaurato un dialogo, analogo a quello che si è instaurato con Yorgia. Questo spettacolo è Ondina, non la potrei mai sostituire. 

Rousseau quando scriveva non era per nulla coerente. Una leggenda che racconta che Kant, che invece era molto preciso, vicino alla scrivania dove lavorava in una camera molto spartana aveva il ritratto di Rousseau e tutti i giorni scriveva e faceva una passeggiata. L’unico giorno in cui non ha fatto una passeggiata è stato il giorno in cui è uscito Emilio, perché si è messo a leggere. 

Così come altri lavori che sono stati sviluppati nell’ambito di Prender-si cura, Emilio è stato parte di re-creatures 2021, la programmazione estiva che ha abitato gli spazi del Mattatoio.

parte di

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Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma.
Padiglione 9B, Performer: Prinz Gholam
13 luglio, ore 12-13
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