ANNAMARIA AJMONE | NON ESSERE AL PRESENTE

7 - 11 luglio 2020

Diario 2020
Diario 2020

 

14 maggio 2020
Roma → Milano
Durata: 01:06:58
 

In questa prima conversazione con Annamaria ci mettiamo all’ascolto per capire cosa sta indagando in questo momento. La discussione si apre anche al suo metodo di ricerca e a come, di volta in volta, la strada scelta informa gli spettacoli in maniera diversa.

Avevo cominciato a ragionare su un nuovo progetto, avevo delle intuizioni e, in virtù di alcuni appuntamenti, mi ero sforzata di lavorare su alcune idee.
Poi è iniziata la quarantena e, per il primo momento, ho avuto un forte rigetto. C’era in me il desiderio di fare altro. La proposta di Ilaria mi è sembrata bella perché vige l’idea che le residenze siano un luogo dove si arriva con un progetto già scritto e si inizia a fare, invece possono essere un momento per entrare in quella zona di studio che viene poco valorizzata.

Il mio prossimo lavoro, immaginato in collaborazione con altre artiste e studiose, mi vedrà in scena da sola. I processi di lavoro sono sempre differenti, dipende dalla natura del progetto e dalla relazione e metodologia che costruiamo pian piano con i colleghi e le colleghe. Ad esempio, con la musica io lavoro sempre in maniera diversa. A seconda del lavoro invito una figura che porta all’interno del progetto la sua ricerca, contribuendo alla scrittura del pezzo. Per Mash ho invitato Federica Zamboni aka Missin Red, dopo aver ascoltato un suo programma alla radio, e abbiamo lavorato a distanza. Partivamo da una traccia comune, lei mi mandava un possibile sviluppo di quella traccia e procedevamo operando scelte e tagli. La parte musicale era un mix, quindi, la danza e la musica potevano procedere parallelamente. La musica di Trigger, invece, è stata presa da un progetto esistente: una sessione di 24 ore creata da Palm Wine, che ha, poi, ridotto per lo spettacolo in un mix di un’ora e registrato su un tape. In NO RAMA, l’ultimo lavoro, la scrittura della musica è stata fatta con Francesco Cavaliere. Francesco ha seguito il processo di ricerca in sala con il resto del gruppo di lavoro, abbiamo costruito la partitura musicale in stretta connessione con la danza.
Il nuovo lavoro, che a ora non ha un titolo, nasce dall’impossibilità di aver esaudito i miei desideri nella creazione di NO RAMA. Molte cose che avevo studiato sapevo che avrebbero preso altri corsi. Indagherò la questione del suono/respiro e produzione del gesto. Questo aspetto è già presente in NO RAMA, nella parte del lavoro che chiamiamo il segreto. Ogni volta, prima di iniziare, scriviamo dei segreti su un quaderno, ne ho due diari pieni. Vorrei continuare a lavorare su questa parte e farla diventare una performance autonoma.

Non ho avuto subito l’illuminazione su chi coinvolgere per affiancarmi sull’aspetto del lavoro relativo all’emissione del suono collegata al gesto, cercavo qualcuno di vicino alla performance e alla danza.
Un altro elemento che mi affascina è la questione dell’ecolocalizzazione, il sonar. Mi piace mettere in discussione l’idea che abbiamo dei nostri sensi, creare un essere che agisce con altre proprietà e categorie. Ho pensato di non preoccuparmi del senso delle cose e mi sono concentrata sul suono delle parole. Un approccio che permetta di poter essere più liberi.
Mi affascina molto mescolare cose diverse. Dopo uno spettacolo come NO RAMA ho bisogno di lavorare in un altro modo. Tornare al solo è un modo per affrontare di nuovo alcune questioni e, allo stesso tempo, rigenerarmi. Per come intendo io i soli non sono mai soli, li penso sempre in relazione a quello che accade, ai dialoghi che instauro. Penso alle mie ricerche come a degli scambi. Spero anche di tornare a insegnare, mi aiuta molto.
 

In un dialogo successivo a queste conversazioni, Annamaria ci racconta che, appena dopo i nostri scambi, ha incontrato Veza Fernández Martínez, un’artista che lavora con la danza, la voce e la performance. Sarà Veza a farle da coach in un primo momento di ricerca. Il lavoro ha cambiato direzione e Annamaria ha deciso di coinvolgere anche Stella Succi, editor e ricercatrice, e l’artista visiva, Natália Trejbalová.
 
 

10 giugno 2020
Roma → Milano
Durata: 01:06:58
 

Continuiamo, in questo nostro secondo appuntamento, a parlare della ricerca artistica di Annamaria.

La mia performatività è legata al mondo animale, vegetale e minerale. In questo momento sono attratta dal mondo minerale, infatti, in NO RAMA, ci sono molte figure che collego alle pietre. Rimane la fascinazione per il mistero e la geologia, la collego all’essere umano che resta inconoscibile. Anche il mio interesse per il movimento rispetto alla parola è legato a questo; attraverso il movimento si esperisce qualcosa e il pubblico ne fa, a suo modo, esperienza.
Quando faccio ricerca c’è sempre un elemento che diventa un motivo centrale e prende spazio, fino a che non si esaurisce. Penso, ad esempio, alle pietre di NO RAMA.
Voglio perseguire, nella ricerca per il nuovo lavoro, l’idea del sussurro come origine del movimento, il componimento del linguaggio mescolato alla composizione del movimento.
 

La ricerca artistica, intrecciandosi con quella teorica, porta la prefigurazione di temi particolarmente rilevanti per la contemporaneità. Si tratta, alcune volte, di discorsi teorici che da minoritari diventano dominanti. Come ci rapportiamo a questo?

All’inizio ho sempre il bisogno di avere delle teorie su cui poggiare la mia ricerca, la mia pratica consiste, infatti, di un primo momento di lavoro prettamente teorico.
Nel processo creativo, forse, non siamo mai nel presente. Quello che fai riesci a leggerlo solo dopo o riesce a decifrarlo meglio qualcuno che conosce il tuo lavoro. Non credo che sia l’artista la persona migliore per parlare del proprio lavoro.
 

«Intuition – instinct – has always been at the heart of my work. Henri Bergson thought that intuition might be like a mysterious link joining us to the inexpressible found in something or someone.
So in a way, the inexpressible may be expressed, because it can be caught, because it can be felt. And it is precisely in these very fragile, very uncertain places that I try to locate my work.¹»
 


Foto di Achille Mauri

 
Abbiamo incontrato queste parole di Claude Régy sfogliando un libro dal titolo The time we share, che contiene lo scritto del regista dal titolo Give light the option of discretion. Una frase che ci piace posare qui, come risposta ex post ad Annamaria, sul nucleo misterioso di alcuni lavori e l’intuizione che li accompagna.
Nel percorso di Annamaria si affianca al lavoro di coreografa quello di interprete in lavori di altre e altri artisti. Cosa succede quando sei dentro la ricerca artistica di qualcun altro? Come si innestano le ricerche l’una dentro l’altra?

Dipende, alle volte non posso intervenire troppo, altre, come nel lavoro con Industria Indipendente, faccio parte di un processo creativo e contribuisco alla costruzione del discorso. Per Klub Taiga abbiamo condiviso anche la ricerca sulla parte teorica.
Lavorando con artisti e artiste come performer non ho la responsabilità ultima del lavoro e, può capitare, di operare all’interno di scelte che non rispecchiano il mio senso estetico.
Si tratta, alle volte, di scendere a compromessi. È il mio sguardo mescolato a quello di un’altra persona e, questo sguardo, può essere più o meno invadente, dipende dall’incontro.
Mi interessa la ricerca sulla materia del corpo, per questo ho sempre cercato di lavorare con persone che avessero lo stesso interesse, sia a livello coreografico che registico. Del fare l’interprete mi piace il fatto che alla fine ti mescoli a quello che si crea. Lo scotto da pagare è dare tutto e sentire proprio un lavoro che non è tuo. La collaborazione è interessante perché, molto spesso, ti porta in luoghi dove non avresti il coraggio di andare. In me è molto presente l’autocensura ma, quando ti fidi dell’altra persona, la superi.
Nel mio lavoro coinvolgo sempre persone che provengono da discipline diverse, mi immagino diverse manifestazioni di uno stesso oggetto e, spesso, soffro la pressione di dover creare “lo spettacolo”.
Sarebbe più facile se ci fosse la possibilità di avere tempo per la ricerca e spazi dove sperimentare, anche con messe in scena veloci, senza l’ansia di dover fare il progetto perfetto. La ricerca in questo paese è sempre troppo orientata al prodotto finito.
C’è bisogno di interrogarsi sul tempo limitato e schizofrenico della residenza e anche sulla qualità dei rapporti tra artisti e curatori.
 

Queste ultime frasi di Annamaria ci riportano a un intervento di Frie Leysen durante un seminario. Da curatrici e curatori, diceva, non si tratta solo di presentare un progetto ma d’incontrare un uomo o una donna che restituiscono un nuovo modo di guardare al mondo. Ci vuole tempo per capire un artista, tempo per seguirne il percorso fatto non solo di capolavori. Il pubblico è invitato ad assistere al lavoro di una persona interessante che può fallire. Ma il fallimento può essere altresì interessante.

NOTE

¹. L’intuizione – l’istinto – è sempre stata al centro del mio lavoro. Henri Bergson pensava che l’intuizione potesse essere un legame misterioso che ci unisce all’inesprimibile che troviamo in qualcosa o in qualcuno. In qualche modo, l’inesprimibile può essere espresso, perché può essere colto, perché può essere percepito. Ed è proprio in questi luoghi fragilissimi e incerti che cerco di collocare il mio lavoro. (Trad. a cura delle autrici)

parte di

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Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma.
Padiglione 9B, Performer: Prinz Gholam
13 luglio, ore 12-13
SOLO SU INVITO
13 luglio, ore 12-13
13 luglio, ore 12-13