DIARIO 2020

Introduzione

Diario 2020
Diario 2020

Se fossimo apprendisti dell’ascolto piuttosto che maestri del discorso,
potremmo forse promuovere un diverso tipo di convivenza tra gli esseri umani:
non tanto nella forma di un ideale utopico,
quanto piuttosto come una solidarietà filosofica incipiente
in grado di prevedere il destino comune della specie
(Gemma Corradi Fiumara)

Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma. Un luogo composito e generativo, principalmente dedicato all’arte contemporanea, sede del Master PACS che trova il suo focus nell’incontro tra le arti visive, performative e l’architettura. Un luogo dove le arti performative nella loro forma spettacolare hanno sempre trovato spazio e dove, in questo momento, si è aggiunto un ulteriore tassello: la fase produttiva e di ricerca delle creazioni artistiche ha iniziato ad abitare le sale, nell’ascolto delle diverse necessità di chi temporaneamente le attraversa.
 

Abbiamo deciso di dividere il diario in due sezioni. La prima è composta dai dialoghi che sono iniziati con gli artisti prima del loro arrivo a La Pelanda, quando, vista la pandemia e le conseguenti regolamentazioni, non sapevamo ancora se la residenza sarebbe potuta accadere. La seconda sezione è dedicata al tempo della residenza e, in questo caso, abbiamo lasciato parlare le immagini dei corpi colti nel momento del lavoro. Un racconto fotografico della restituzione di quanto accaduto nel teatro e nelle sale, abitate e vive, pur essendo chiuse al pubblico.
 

Questi appunti e queste immagini vogliono essere una chiave d’accesso a una fase che normalmente non è attraversata dallo sguardo degli spettatori, il racconto della costruzione di un lavoro artistico prima dello spettacolo.
 

Quando abbiamo iniziato il momento era incerto ma siamo comunque volute partire. Un iniziare prima non per saturare un tempo ma per aprirlo, per provare a smontare la gerarchia delle relazioni date e iniziare a parlare. Abbiamo scelto la forma del dialogo per navigare una distanza imposta, discorsi che rispondono meno al bisogno di capire che al bisogno di intrattenersi con qualcuno in modo largamente comunicativo e umanamente soddisfacente (Carla Lonzi). Senza pretese, né aspettative, siamo state davanti alla telecamera, senza prepararci troppo ma, ponendoci all’ascolto, ci siamo lasciate sorprendere. Le artiste e gli artisti, coautrici e coautori dei nostri dialoghi, ci hanno seguito e hanno rilanciato il discorso, in un incontro di generosità non scontata.
 

Questo iniziare prima, queste residenze dialogiche hanno evidenziato una domanda: quello che ci è mancato durante l’isolamento era qualcosa che ci mancava anche prima?
 

La posizione privilegiata che ci siamo trovate a occupare ci ha permesso di seguire trame e intercettare dei temi comuni, rintracciare un bisogno di confronto, uno stare vicino affettivo che rimescolasse un po’ le carte.
 

Come sottolinea Guy Cools nel suo Imaginatives Bodies, parte fondamentale del dialogo è l’ascolto, ascolto che propone apertura piuttosto che chiusura, il divenire piuttosto che l’essere, l’artefatto piuttosto che il già dato, l’incompiuto piuttosto che il già finito. Essere in ascolto ci ha permesso di entrare nella materia dei lavori e della ricerca in maniera diversa dal solito, contribuendo a delineare una costellazione di riferimenti per ciascun artista.
 

Abbiamo provato ad allenarci a un certo tipo di cura, attraverso un sostegno ai progetti che non perda di vista i percorsi e le traiettorie delle artiste e gli artisti in residenza. Questi dialoghi hanno aperto interrogativi sulle nostre posizioni e ricerche personali. Come farli riverberare?
 

Interrogandosi sul concetto di cura giusta, Bojana Kunst, in una lettera indirizzata a un “tu” immaginario, evidentemente vicino alle arti performative, riflette — tra le altre cose — sulla partecipazione come ulteriore forma del prendersi cura con, e sulla performance come una rete di ambienti e processi, corrispondenze ecologiche, una rete di articolazioni e immaginazioni, che consentirebbe la vita a tutti i suoi attori. Kunst parla di tessitura degli ambienti e delle corrispondenze, una sistema di convivenza e supporto, una continuazione nel tempo come gomitoli di lana.
 

Questo diario si arricchirà di nuovi dialoghi e incontri e continuerà a svolgersi, nel tempo, come luogo aperto di scambio e ricerca.
 

Paola Granato e Ilaria Mancia

ideazione e cura Ilaria Mancia
accompagnamento critico e cura Paola Granato
comunicazione e social Elena Fortunati, Andrea Pergola
foto, tranne dove diversamente indicato, di Monkeys VideoLab
© 2020 Azienda Speciale Palaexpo

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