AURELIO DI VIRGILIO | PAESAGGIO E ARCHIVIO

14 - 23 aprile 2021

Diario 2021 - 2022
Diario 2021 - 2022

L’arrivo di Aurelio Di Virgilio ci ha sorprese fin dall’incontro preliminare alla residenza. Con una formazione teatrale e il lavoro su linguaggi afferenti alla danza e alla performance, Aurelio ha portato all’interno degli spazi del Mattatoio la ricerca per un suo solo dal titolo Land. La ricerca si è nutrita di un dialogo profondo con gli spazi de La Pelanda, in particolare il Foyer 1 dove si è svolta la residenza. Le architetture che presentano elementi industriali dell’antico mattatoio e quelli contemporanei della ristrutturazione museale sono entrate a pieno nel lavoro che si nutre dei luoghi che attraversa. Presenza, testi teorici e poetici questi gli elementi di uno scambio intenso che ha, al tempo stesso, informato il lavoro di Aurelio, trasformando questi stimoli in appunti corporei e disegni, e il nostro lavoro che è in continua ricerca e interrogazione di cosa significa dare forma diversa al formato di una residenza artistica.

 

 
 

12.4.2021

In un primo incontro a La Pelanda, precedente al periodo di residenza, Aurelio Di Virgilio ci racconta di Land e degli aspetti della ricerca che vuole sviluppare al Mattatoio.

 

Aurelio Di Virgilio: In Land, voglio affrontare il tema del paesaggio, di come il paesaggio esterno dialoga con una dimensione emotiva. La moquette per me è un luogo definito dove si ha la possibilità e la legittimità di poter agire e quindi di poter trovare corrispondenze con l’esterno. Il tappeto è il mio luogo, in questi giorni vorrei ampliare lo spazio d’azione. L’idea è di lavorare anche sullo spazio del fruitore. C’è poi il rapporto con la distanza che quando ho realizzato la performance a Circo Massimo era portata all’estremo e che in un certo senso ho portato anche nella replica in Fondazione a Roma. La distanza è lo strumento che ti permette di percepire l’azione ma anche il paesaggio che c’è intorno al Circo Massimo, infatti, era tutto un gioco di corrispondenze tra l’azione sulla moquette e quello che avveniva intorno. In questo momento vorrei esperire altre modalità di fruizione del setting

Ho realizzato dei disegni per immaginare una fruizione completamente diversa, vorrei definire degli spazi con lo scotch al di fuori della moquette. L’idea è quella di condividere il pezzo con qualcuno che possa registrare alcune informazioni durante il processo. Mi piacerebbe creare un dialogo tra spettatore e mover, per estendere il campo d’azione e ipotizzare delle dinamiche di fruizione che possano permettere al pezzo di avere un tipo di visione contemplativa, in cui si assiste riuscendo a percepire anche le piccole modificazioni, avendo la libertà di scegliere qual è il punto di vista, avendo la libertà di spostarsi. 

Partirò dalla pratica che ho sviluppato, cercando di ampliarla e di portarla alla deriva, voglio provare ad allargare il tempo, sono arrivato ai 30 minuti, ma la domanda è: cosa c’è dopo? Sento il bisogno di allargare le maglie.

Vorrei lavorare su dei varchi emotivi che si possono aprire all’interno della pratica. Vorrei capire in questo tipo di struttura, che per ora è lineare, se posso trovare momenti che definirei dei cedimenti dell’animo, in cui il processo non continua e si interrompe.

 

Ci sono due macro-ambienti di osservazione e immaginazione. C’è il rapporto con la struttura corpo che è un’architettura in sé all’interno del tappeto, c’è l’analisi di quali tipi di architetture il corpo forma all’interno della moquette, l’analisi del margine della moquette e poi iniziano le osservazioni tra il dentro e il fuori. Questo fa parte della parte di osservazione. Come se fossero le task per abitare quel territorio. La fase centrale è la fase dell’immaginazione, dopo aver visto e osservato posso chiudere gli occhi per sovrascrivere e osservare quello che ho visto prima a occhi aperti.  È come se prevedessi e immaginassi cosa c’è fuori. Mi approccio a un’architettura che non è più quella circostante, ma è una sovra-architettura che io chiamo il momento “costellazione”, l’insieme di quello che vedo e che immagino che mi porta a uscire fuori dalla moquette. 

 

Ilaria Mancia: Pensi che questo schema sia trasferibile a qualcun altro?

 

Aurelio Di Virgilio: Questa domanda non me la sono posta, però mi piacerebbe trasferire la pratica a un’altra persona.

Io vivo questo processo di spaesamento ma è come se fosse un processo di apprendimento, imparo il modo di stare in quel momento. L’idea è trasferirlo a chi ne è spettatore, non c’è bisogno di spiegare quello che succede. Si comprende mentre si apprende. 

È la prima volta che lavoro da solo. È un progetto che ha avuto una gestazione lunga, ho iniziato ad indagare il rapporto con l’invisibile, cancellando le foto di famiglia. L’ultimo lavoro era sull’incontro, sulla possibilità di creazione di un codice condiviso per poter incontrarsi. La domanda che mi sono fatto è: e dopo che succede? Quando l’altro non c’è più che cosa succede?

Land è stata una terra dove immaginare qualunque cosa: gli incontri passati e quelli che non ci sono stati, gli incontri con le persone, le relazioni mancate, cose immaginate…una sorta di deserto che ha preso, in un secondo momento, una forma definita.

 

Paola Granato: Stai pensando di documentare le costellazioni?

Cosa si porta dietro la moquette? Quanto dei luoghi che ha attraversato riverbera al suo interno?

 

Aurelio Di Virgilio: C’è un rapporto con la traccia perché la moquette lascia delle orme, e mentre mi muovo lascio degli aloni visibili. Per me è molto forte il rapporto con la traccia. Land per me è una terra invisibile, quello che si crea sopra è una radiografia di quello che sta succedendo. 

Le tracce dei luoghi che ho attraversato con il lavoro riverberano più nel corpo che nella moquette. Ci sono delle cose fisiche che mi porto dietro, poi c’è la mappa spaziale e la moquette. Voglio capire la differenza tra esterno e interno. La pratica del disegno mi accompagna sempre da più o meno cinque anni, in Land avviene dopo il mio passaggio sul tappeto.

Ho visto i film di Antonioni, parla di questi spazi vuoti, estesi, dove ci sono delle persone piccole che consumano i loro drammi. Mi ha interessato in particolare il rapporto con l’esterno, con i paesaggi estesi. Ho fatto degli screenshot ai fotogrammi dei film e ho messo dentro dei varchi.

Questo progetto è nato a gennaio in maniera esplosiva, adesso ha bisogno di un respiro più ampio, devo sviluppare altre potenzialità, anche dal punto di vista dello spazio, vorrei una moquette più grande.

 

La nostra conversazione con Aurelio continua dopo la sua residenza
 
 

 
 

23.4.2021

 

Aurelio Di Virgilio: In questi ultimi giorni, quando ci sono stati dei cambiamenti, ho disegnato molto di più. Il 21 aprile, il primo giorno di ripresa dopo due giorni di pausa molto prolifici, ho fatto una prova in cui per la prima volta hanno iniziato a delinearsi tutti i rapporti con l’esterno, con lo sguardo, con il tipo di rapporto che c’è con chi osserva. Ho centrato la questione alla quale ho girato intorno. Questi giorni sono stati importanti per asciugare materiale di movimento e di pensiero e ci sono delle cose che si sono semplificate. Ho segnato proprio la data del 21 aprile, cosa che non faccio mai, il mio quaderno di appunti e disegni è più che altro un flusso di coscienza. Ho segnato questa data perché è un punto di consapevolezza, rileggevo le domande che mi avevate fatto e vedevo che in questi ultimi giorni si è fusa la relazione senza andare a categorizzare il punto di indagine. Questo paesaggio di cui stiamo parlando è espanso e orizzontale, è stato molto sorprendente. Sono entrato anche nella dimensione della piacevolezza della relazione, ci sono tante cose che ci siamo detti che hanno lavorato per cui questi setting sono diventati dei punti di incontro. È un tentativo di evocare qualcosa e di avere un rapporto con qualcosa, di chiamare in causa qualcuno senza legarsi troppo. Rendersi conto che non si è soli e costruire questo tipo di architettura gestuale, appesa e polarizzata tra i punti di vista che ci sono nello spazio. Si è creata una struttura fluttuante tra chi guarda e chi agisce, sono influenzati tutti e due. Io faccio un percorso che mi permette di costruire un’architettura, che serve a mettermi in contatto, a costruire il movimento e la struttura corpo, per spostare il lavoro sul fuori, su questo margine, che sta diventando di una potenza non indifferente. Ero arrivato con la consapevolezza che lavorare sul margine era qualcosa di evocativo e importante e adesso con le letture che abbiamo fatto sta diventando la condizione per affacciarsi sul fuori. Le parole che mi sono venute in mente sono comprensione e delicatezza, tenere insieme qualcosa che non vuol dire contenere. E, soprattutto, una dimensione di leggerezza che permetta di entrare all’interno di una dimensione contemplativa, continua, che non affatica ma permette di vedere delle piccole modificazioni. Sono tanti sviluppi ma molto interni, bisognerà capire come gestire un pubblico numeroso. Il rapporto uno a uno rimane esclusivo.

 

Ilaria Mancia: A che punto è il fattore tempo e spazio?

 

Aurelio Di Virgilio: Il tempo nello spazio è fondamentale, ha creato una familiarità con il mio stare e con il mio indagare in questo spazio. Frequentare più volte un posto permette di avere la possibilità di lasciare depositare delle cose. 

 

Paola Granato: Prima della residenza ci hai parlato di questi setting che volevi creare, delle zone circoscritte in cui il pubblico si può spostare. Dopo averli sperimentati secondo te quanto si sono rivelati necessari?

 

Aurelio Di Virgilio: Per adesso sono un punto d’incontro formale, non ho sentito il bisogno di toglierli perché dovevano esaurirsi nell’esperienza. Ho asciugato le geometrie che disegnavano i setting con forme regolari e simili, non credo che rientrerà totalmente nel lavoro finale.

Ho cambiato la traccia musicale perché la prima che usavo non mi convinceva. Il silenzio lo uso nella mia pratica nascosta, queste mattine ho provato a fare delle sessioni lunghe in cui leggevo, prendevo appunti dalla moquette, il che ha creato un’abitabilità. La relazione tra la moquette e le tracce sulla moquette non è solo nell’atto performativo ma anche nel vissuto, ci sono delle cose che ho fatto lì sopra che esulavano dall’azione stessa. Mi sono creato una specie di stanzetta con le casse, il cellulare, l’agenda tutto vicino e dei libri. È stato un momento di espansione di questo territorio. Può essere un ottimo modo per guardare quello che c’è fuori. I setting disegnati sono molto importanti nella solitudine per la mia relazione con qualcosa di invisibile. Sono delle geometrie che hanno una valenza simbolica, sono luoghi dove è successo qualcosa. Sono diventati degli appuntamenti verso cui girarsi, dei luoghi dove ci sono state delle persone, so perfettamente dove è stato chi ha attraversato lo spazio. Questo è legato anche a questa residenza, è il fatto di non essere completamente solo, di potermi relazionare con degli sguardi che creassero dei turbinii di pensiero. 

 

Ilaria Mancia: Che cosa hai lasciato andare?

 

Aurelio Di Virgilio: Molte cose che sentivo superflue. Quando affrontavo la pratica attraverso i vostri occhi sentivo che poteva asciugarsi. Ho capito che la questione centrale era cercare di mantenere quel tipo di stato che mi permetteva di creare. Ogni volta – e in questo sta la delicatezza – mi domando e mi dico, ok possiamo andare. Poi c’è un vocabolario che si sta definendo delle cose che ritornano, di cui mi fido, ma non ho la necessità di metterle a sistema in questo momento. Le tracce sono presenti e hanno una grande valenza soprattutto all’inizio. Questa cosa si collega a fare altro dentro al tappeto e sapere cosa ho fatto, l’impronta del mio piede sarà come una stampa. La moquette registra molte cose, anche in maniera confusa, dopo aver fatto l’azione riconosco nelle tracce ciò che ho fatto, è come se mi vedessi. So che quando funziona qualcosa ci sono un certo tipo di tracce.

 

Ilaria Mancia: Hai un’apertura allo sguardo, al commento, che non è scontata. Ho sentito che c’era una reale propensione a stare nel lavoro di apertura e di interesse anche di chi ha attraversato questo spazio. È uno stare che ricerchiamo anche in questo progetto, questa co-cura di cui parliamo. Come tu hai interrogato noi sul tuo lavoro, tu hai fatto interrogare noi su altre questioni. 

 

Aurelio Di Virgilio: Del rapporto che c’è stato tra le persone che ho incontrato in questa residenza mi viene in mente l’espressione: testimoni illuminati.  A questo proposito, ho trovato alcune frasi in Elogio del margine di bell hooks, libro che abbiamo letto insieme in questi giorni, che vorrei condividere con voi: “Lavoreremo entrambe sulla geometria delicata della reciprocità ed entrambe, nel nostro copione a quattro mani, ci ritroveremo a convocare anche una serie determinante di figure terze o di testimoni”.

“Ha ragione, ma il punto non è sapere o non sapere raccontare, bensì la capacità o volontà di assumere la posizione di chi si lascia guardare in funzione di un ascolto e di uno sguardo a loro volta capaci di accoglierti e renderti, almeno per qualche tempo, centrale e insostituibile”.
 
 
 

 

Qualche tempo dopo una corrispondenza tra noi e Aurelio Di Virgilio 
 
 

Caro Aurelio, 

è come se nel Foyer 2 del Mattatoio che hai usato per lavorare fosse rimasto l’alone della tua moquette rosa. Sarà difficile non osservare lo spazio senza visualizzare il rettangolo. Cosa è rimasto sulla tua moquette di quello spazio? 

 


Aurelio Di Virgilio - Appunti su taccuino, LAND, ore 09.25 del 16 Aprile 2021. 

 

Rispondo partendo da una delle nostre primissime conversazioni su LAND, in cui mi avete chiesto: Cosa porti con te dai luoghi dove si è posata la moquette?” Se non sbaglio, la mia risposta metteva l’attenzione sull’ esperienza fisica, su un certo tipo di memoria che si stratifica nel tempo sul corpo. Ora, il pensiero ha preso una prospettiva diversa. L’impressione che ho è che questo oggetto, che continuo a portare con me, fisicamente, tra le braccia, comincia ad avere una sua autonomia di significato, come se mi portassi un vero e proprio luogo che ha una sua identità e che si inserisce nei diversi ambienti. L’essere accompagnato dalla moquette sul treno, per strada o in bicicletta, conferma e salda un legame con il tappeto, i luoghi abitati e le persone con cui entro in contatto, come voi per esempio. Ritorno a un pensiero condiviso prima della residenza:“La moquette in LAND, rappresenta in qualche modo il luogo della legittimità, in cui è concesso agire”. L’idea di traccia che la moquette porta con sé, attraverso le forme che si depositano dopo un’azione sulla superficie, assume un valore più tridimensionale se solo si pensa al rettangolo rosa come un vero e proprio territorio. 

 

Aurelio Di Virgilio - Appunti su taccuino, LAND, ore 15.45 del 21 Aprile 2021. 

 

Detto questo, ciò che è rimasto è una serie di sguardi, lunghe attese, accordi taciti. Nello specifico, il Foyer 2 è diventato un luogo dove fare crescere oltre le aspettative questo territorio orizzontale, arrivando ad agganciare l’altr* presente o assente che fosse. In questo caso l’architettura è diventata testimone di numerosi accadimenti e di riflessioni. 

Il tempo ha permesso di creare una fitta rete emotiva capace di concedermi la possibilità di non dare per scontato l’altra/o e di continuare a procedere, insieme. Mi piace pensare che sulla moquette può rimanere anche un’alone invisibile, che è forse lo stesso di cui state parlando voi. Parlo delle mezze dediche d’amore, delle proiezioni di coloro che hanno preso parte alle diverse sessioni di prova, di cose immaginate. In questa rassegna di figure ci siete voi, Marta Federici (invitata da me a prendere parte al percorso di residenza) con cui si è instaurato un articolato dialogo in grado di rilevare la trasformazioni avvenute nel corso dei giorni, ma c’è anche un serie di altre figure come Cesare, Camilla, Yasmin, Andrea, Cecilia, Maria Giovanna che hanno messo a servizio della ricerca le loro impressioni a caldo. Questo è a oggi tutto ciò che è rimasto: si tratta di un impasto di confessioni, scambi, parole di libri, colonne di ferro, casse che sembrano volti, occhi attenti e precisi.
 

 

Nello scriverti ripensiamo a come le architetture che hai attraversato si siano modificate dal tuo arrivo in Pelanda all’ultimo giorno di residenza. Il passaggio dal verticale all’orizzontale, che ha avuto manifestazione visibile nella tua danza e nel tuo stare sulla moquette, è stato un momento forte che ha delineato un tipo di paesaggio interiore totalmente diverso. Così come la scelta del margine. Nel tuo lavoro il margine è un luogo che non si può ignorare, nello stare in sala giorno dopo giorno – abbiamo visto come non è solo la linea che delimita il dentro e il fuori, ma una zona dove sostare. Iniziare a costruire dal margine permette di sperimentare quel luogo capace di offrirci la possibilità di una prospe4va radicale da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi – come ci insegna bell hooks. I suoi testi e le parole di Maria Nadotti che li accompagnano, di cui abbiamo condiviso la lettura, ti hanno indicato – sembra – una strada diversa, un posizionamento. Credo che lo spazio dove hai lavorato ti ha informato in modo altrettanto radicale, cosa ne dici tu? 

 

Aurelio Di Virgilio - traccia in argilla , 3x0,7cm e appunti su taccuino, 2021.

 

Lo spazio è entrato nel lavoro in maniera inaspettata. L’architettura del Foyer2 ha consentito al campo della ricerca di espandersi, creando configurazioni di fruizione e di pensiero nuove. 

Credo che la possibilità di agire in un luogo così strutturato mi ha permesso di cogliere informazioni importanti da inserire nella pratica, senza nessun tipo di affezione nei confronti di quanto trovato in passato. 
 

Aurelio Di Virgilio - traccia in argilla , 3x0,7cm e appunti su taccuino, 2021.

 

Lo spazio è entrato nel lavoro in maniera inaspettata. L’architettura del Foyer2 ha consentito al campo della ricerca di espandersi, creando configurazioni di fruizione e di pensiero nuove. 

Credo che la possibilità di agire in un luogo così strutturato mi ha permesso di cogliere informazioni importanti da inserire nella pratica, senza nessun tipo di affezione nei confronti di quanto trovato in passato. 

 

Aurelio Di Virgilio - Appunti fotografici di Paola Granato, 21 Aprile 2021 

 

La ricerca di LAND si è plasmata assieme allo spazio ed è stata traghettata in profondità, nel corso dei giorni, senza che io me ne accorgessi. L’atto di non dare scontato il luogo in cui posizionarsi per osservare qualcun* o qualcosa, è stato un momento decisivo che mi ha accompagnato in questo periodo e che mi ha permesso di scegliere/far scegliere i luoghi da abitare nel corso delle sessioni svolte. 

 

Nei giorni di residenza alla Pelanda ho voluto utilizzare lo spazio come un luogo aperto a possibili passaggi in cui ognun* poteva essere liber* di sostare o andare via. Il desiderio era di configurare una metodologia attraverso cui fosse consentito operare a carne scoperta, senza mettere nessun divieto di entrata, anzi accogliendo chiunque venisse da fuori a prendere parte alla costruzione del paesaggio. In questa ottica il Foyer2 si è prestato a questo tipo di volontà perché svuotato di aspettative e di una predisposizione standardizzata alla fruizione. 

 

Quando penso a LAND mi viene in mente un’immagine:“un luogo di accesso a”. 

 

Il margine a modo suo può essere un luogo di accesso verso una dimensione. Lo sguardo che si fa strada tra le pieghe del corpo è sintomo di un accesso a un paesaggio interiore. 

 

Se poi penso al Foyer2, penso ai 10 ingressi che lo circondano, che sono essi stessi
 
 

Per aggiungere uno strato sulla tua moquette, ci piacerebbe lasciarti le parole di Alejandra Pizarnik: 

 

Gli occhi dicono la verità gli occhi 

dicono la verità occhi che si aprono 

tirano via il superfluo: 

 

occhi 

 

non parole non promesse; 

lavoro con i miei occhi costruendo 

riparando ricostruendo 

qualcosa di simile a uno sguardo umano ad una poesia d’uomo 

ad un canto lontano nel bosco 

 

 

parte di

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Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma.
Padiglione 9B, Performer: Prinz Gholam
13 luglio, ore 12-13
SOLO SU INVITO
13 luglio, ore 12-13
13 luglio, ore 12-13