LUIGI PRESICCE | STORIE CHE SI FANNO PERFORMANCE

12 - 15 ottobre 2020

Diario 2020
Diario 2020
 

6 maggio 2020
Roma → Firenze
Durata: 01:04:08
 

Luigi sarà al Mattatoio come artista invitato a esporre presso il padiglione 9B nel 2021. In ottobre, durante la residenza, verrà prodotto e si girerà un video, che andrà a completare la parte già esistente dell’opera Le Storie della Vera Croce, i cui episodi faranno parte della mostra.

Il titolo della performance è In hoc signo vinces (con questo segno vincerai), si tratta di un parallelo tra il sogno di Costantino e il desiderio di conquista del mondo di Hitler, assoggettati entrambi ad un simbolo, una specie di croce. Costantino, figlio di Sant’Elena, si converte al cristianesimo attraverso l’angelo che gli viene in sogno e che gli dice “assumi a vessillo del tuo potere la croce” e contro Massenzio vincerà nella battaglia di Ponte Milvio. Diventa il primo imperatore romano cristiano attraverso questo sogno che gli suggerisce di applicare la croce su scudi e bandiere. Allo stesso modo Hitler, con una serie di escamotage esoterici, assume la svastica, simbolo del sole, come vessillo della sua battaglia. Entrambi adottano un simbolo a frontespizio dei propri ideali.
Ho deciso di tracciare questa relazione, tra Le Storie della Vera Croce e alcune vicende della storia contemporanea, per evidenziare come si proceda per fasi e si ricada nelle stesse dinamiche, terrorismo e conversioni religiose sono, ad esempio, allo stesso punto di duemila anni fa.
Le Storie della Vera Croce raccontano dell’impero Ottomano e dell’impero Bizantino, in disputa per la croce come simbolo di un potere terreno, anche se si tratta di un simbolo di un potere ultraterreno.
 

Piero Della Francesca, “Storie della Vera Croce”, 1452 — 1466

 
Si potrebbe continuare all’infinito a realizzare gli episodi, nessuno ha scelto di fermarsi dove era necessario: Piero della Francesca ha scelto di fermarsi perché quello era lo spazio che aveva a disposizione ad Arezzo nella basilica di San Francesco. Lo stesso ha fatto Agnolo Gaddi nella Basilica di Santa Croce a Firenze.
Lo spazio esige una limitazione di racconto perché non può essere espanso. Nel mio caso, non avendo uno spazio definito, potrei continuare all’infinito, ho ancora una serie di cose già scritte e non realizzate. La vita di Sant’Elena è molto studiata e raccontata, essendo una delle protagoniste principali de le Storie. Adesso, per me, è importante mettere un punto, su questi quasi dieci anni di lavoro, metaforico o no.
 

Spostiamo la questione al momento presente: c’è qualcosa che è variato nell’approccio al lavoro, o qualcosa da mettere a fuoco rispetto ai temi trattati? Che cosa vuol dire essere un artista e vendere il proprio lavoro in questo periodo?

Questa nostra quarantena è come la peste. Forse è più importante la peste del Trecento che questa nostra pandemia totalmente teletrasmessa. Non credo che influenzerà il mio lavoro. A parte la lontananza da mio figlio è tutto abbastanza normale.
Sto pensando al poi e, per me, il poi è vendere quello che faccio.
Quelli più forti rimarranno, il resto sparirà in un’ipotetica sopravvivenza del mondo dell’arte.
Ci sarà una scrematura, e questa cosa sarà più evidente nel sistema economico dell’arte. Le piccole gallerie chiuderanno. Potrebbe essere un ottimo momento ma ne stanno approfittando le grandi gallerie “multinazionali”.
I musei e le istituzioni avrebbero dovuto approfittarne per acquistare opere più attuali. Credo che una fase come questa poteva essere un’occasione d’oro per acquistare per una collezione, l’artista non ti dice di no come accadeva in tempi migliori. Se non è successo vuol dire che quelle sul sostegno all’arte contemporanea italiana sono tutte parole e basta, quando si uscirà da questa situazione sarà peggio di prima.
La problematica italiana è sempre la stessa: non c’è chi conserva. Allora è meglio continuare a fare quello che ti piace che nel mio caso sarebbe la pittura.
 

Tornando al lavoro, Ilaria chiede a Luigi perché ha scelto di incentrare la mostra su Le Storie della Vera Croce e non sui suoi nuovi dipinti.

Li mostrerò. Avevo una personale a marzo, i quadri che avevo fatto mi piacevano ma adesso ne ho fatti di molto più belli. Devo ripensare un po’ a tutto. Se avessi fatto la mostra avrei messo un punto, non avendolo messo non si trova mai un attracco, non si tratta di sicurezza economica ma di conforto.
Solo io so se un quadro è bello o no, se lo distruggo è perché non piace a me e, in questi due mesi, ne ho distrutti, cosa che di solito non faccio perché non ho il tempo di riflettere sulle cose.
Nel mio lavoro in questo momento si legge un’evoluzione, un passaggio in meglio. Come una coreografia, inizi con il primo gesto che poi via via rendi più complesso. Alla fine, da tutto questo rendere più complesso scaturisce la coreografia. Un danzatore, con cui sono stato in residenza a Bergamo, iniziava da un gesto semplice e poi ne aggiungeva altri fino a chiudere il lavoro. È così anche per la pittura, si deve guardare all’intero passaggio evolutivo del gesto. L’ultima cosa che fai è sempre l’insieme di tutti i gesti, li racchiude tutti.
 

Può essere la pittura considerata un allenamento corporeo? E l’atto del vedere è compreso in questo allenamento?

È allenamento sì. Anche la vista si allena, non sto vedendo molto…sono esausto da questo punto di vista. All’interno del gesto pittorico la vista si allena per riconoscere l’errore, che è una questione personale, solo chi lo fa può dire se un quadro è bello o brutto. Ma non avrebbe senso vedermi dipingere, non c’è nulla di divertente in questo atto che è lento e meditativo. Nella pittura c’è già tutto, se guardi un quadro c’è tutto. Non c’è bisogno di mettersi a fianco a spiegare o farsi vedere.

Si potrebbe continuare all’infinito a realizzare gli episodi, nessuno ha scelto di fermarsi dove era necessario: Piero della Francesca ha scelto di fermarsi perché quello era lo spazio che aveva a disposizione ad Arezzo nella basilica di San Francesco. Lo stesso ha fatto Agnolo Gaddi nella Basilica di Santa Croce a Firenze.
Lo spazio esige una limitazione di racconto perché non può essere espanso. Nel mio caso, non avendo uno spazio definito, potrei continuare all’infinito, ho ancora una serie di cose già scritte e non realizzate. La vita di Sant’Elena è molto studiata e raccontata, essendo una delle protagoniste principali de le Storie. Adesso, per me, è importante mettere un punto, su questi quasi dieci anni di lavoro, metaforico o no.
 

Spostiamo la questione al momento presente: c’è qualcosa che è variato nell’approccio al lavoro, o qualcosa da mettere a fuoco rispetto ai temi trattati? Che cosa vuol dire essere un artista e vendere il proprio lavoro in questo periodo?

Questa nostra quarantena è come la peste. Forse è più importante la peste del Trecento che questa nostra pandemia totalmente teletrasmessa. Non credo che influenzerà il mio lavoro. A parte la lontananza da mio figlio è tutto abbastanza normale.
Sto pensando al poi e, per me, il poi è vendere quello che faccio.
Quelli più forti rimarranno, il resto sparirà in un’ipotetica sopravvivenza del mondo dell’arte.
Ci sarà una scrematura, e questa cosa sarà più evidente nel sistema economico dell’arte. Le piccole gallerie chiuderanno. Potrebbe essere un ottimo momento ma ne stanno approfittando le grandi gallerie “multinazionali”.
I musei e le istituzioni avrebbero dovuto approfittarne per acquistare opere più attuali. Credo che una fase come questa poteva essere un’occasione d’oro per acquistare per una collezione, l’artista non ti dice di no come accadeva in tempi migliori. Se non è successo vuol dire che quelle sul sostegno all’arte contemporanea italiana sono tutte parole e basta, quando si uscirà da questa situazione sarà peggio di prima.
La problematica italiana è sempre la stessa: non c’è chi conserva. Allora è meglio continuare a fare quello che ti piace che nel mio caso sarebbe la pittura.
 

Tornando al lavoro, Ilaria chiede a Luigi perché ha scelto di incentrare la mostra su Le Storie della Vera Croce e non sui suoi nuovi dipinti.

Li mostrerò. Avevo una personale a marzo, i quadri che avevo fatto mi piacevano ma adesso ne ho fatti di molto più belli. Devo ripensare un po’ a tutto. Se avessi fatto la mostra avrei messo un punto, non avendolo messo non si trova mai un attracco, non si tratta di sicurezza economica ma di conforto.
Solo io so se un quadro è bello o no, se lo distruggo è perché non piace a me e, in questi due mesi, ne ho distrutti, cosa che di solito non faccio perché non ho il tempo di riflettere sulle cose.
Nel mio lavoro in questo momento si legge un’evoluzione, un passaggio in meglio. Come una coreografia, inizi con il primo gesto che poi via via rendi più complesso. Alla fine, da tutto questo rendere più complesso scaturisce la coreografia. Un danzatore, con cui sono stato in residenza a Bergamo, iniziava da un gesto semplice e poi ne aggiungeva altri fino a chiudere il lavoro. È così anche per la pittura, si deve guardare all’intero passaggio evolutivo del gesto. L’ultima cosa che fai è sempre l’insieme di tutti i gesti, li racchiude tutti.
 

Può essere la pittura considerata un allenamento corporeo? E l’atto del vedere è compreso in questo allenamento?

È allenamento sì. Anche la vista si allena, non sto vedendo molto…sono esausto da questo punto di vista. All’interno del gesto pittorico la vista si allena per riconoscere l’errore, che è una questione personale, solo chi lo fa può dire se un quadro è bello o brutto. Ma non avrebbe senso vedermi dipingere, non c’è nulla di divertente in questo atto che è lento e meditativo. Nella pittura c’è già tutto, se guardi un quadro c’è tutto. Non c’è bisogno di mettersi a fianco a spiegare o farsi vedere.
 
 

19 giugno 2020
Roma → Firenze
Durata: 00:59:46
 

Questa seconda conversazione con Luigi avviene a giugno, la situazione è decisamente mutata, ma ancora non sappiamo se il progetto di residenze si realizzerà. Iniziamo a parlare di quello che c’è, dei progetti del futuro prossimo.

Sono sempre concentrato a dipingere, ho fatto una nuova serie di lavori negli ultimi mesi, li esporrò all’interno di una mostra a Palazzolo, in Sicilia, presso un nuovo spazio aperto da un artista. Per la prima volta ho dipinto figure intere, dopo molti anni di ritratti, e ho ripreso anche a fare grandi formati. Mentre parlo ho una grande tela dipinta che mi guarda, vorrei fare formati ancora più grandi.
Capita sempre meno di fare performance durante l’anno. A luglio ne farò una Teatro Pubblico Pugliese. Il progetto tratta il tema delle torri costiere, sarà una mostra itinerante, gli altri artisti invitati sono tutti pittori o scultori, non c’è nessun’altra performance. È un progetto europeo che coinvolge tutta la Puglia, ogni artista prende una torre del territorio pugliese, dal Gargano fino a Santa Maria di Leuca. Ho ragionato sulle telecomunicazioni e le grandi antenne. Lavorerò con i miei soliti performer, in scena saremo in sei. Mi hanno confermato anche Manifesta a Marsiglia, farò una cosa on line e manderò il video. Sarà una performance con due attori su Caino e Abele.
 

Foto di Dario Lasagni

 
L’archivio è un tema che ricorre, qual è il gesto degli artisti e delle artiste nel lavorare sul loro archivio? È un tema che abbiamo affrontato più volte con Luigi, ne ha uno in costruzione.

Vorrei riprendere in mano la questione dell’archivio, lo devo fare anche da un punto di vista giuridico, su tutto ciò che riguarda le autentiche delle opere. È un problema trovare una persona che sia autonoma nella catalogazione, c’è sempre bisogno della mia supervisione. Un mio collaboratore, Matteo Coluccia, vuole fare una tesi sugli oggetti “di scena” delle mie performance, questa potrebbe essere un’occasione per riprendere il lavoro sull’archivio. Penso, ad esempio, alla mostra di Tony Oursler e alla relativa pubblicazione come fonte d’ispirazione.
 

Mentre il diario prende vita Luigi Presicce ha inaugurato, il 18 Dicembre 2020, la mostra personale Homo Sapiens Sapiens Sapiens alla Rizzuto Gallery di Palermo dove presenta parte dei suoi nuovi dipinti.

parte di

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Gli appunti in forma di diario raccolti qui raccontano il percorso fatto con le artiste e gli artisti del progetto Prender-si cura, un ciclo di residenze artistiche e produttive realizzate a La Pelanda, nel Mattatoio di Roma.
Padiglione 9B, Performer: Prinz Gholam
13 luglio, ore 12-13
SOLO SU INVITO
13 luglio, ore 12-13
13 luglio, ore 12-13