Mela

Ilaria Mancia, curatrice
Antonio Rovaldi, artista
 

Antonio Rovaldi dialoga con Ilaria Mancia

 

Se fossi tu quella persona e non un altro?
Perché deve essere un altro e non tu?
(Quanto lontano ci può portare un torsolo di una mela?)
 
 
Ilaria Mancia: ho appena iniziato un libro I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy di cui trovi qui le prime due pagine. Leggendole qualche sera fa ti ho pensato. E’ il secondo libro che leggo, in poco tempo, che parla casualmente di ragazze in collegio. Chissà per quale strana coincidenza mi ritrovo rinchiusa in collegio di questi tempi…

 

 
 
Antonio Rovaldi: nella pagina di destra c’è un tuo segno tracciato con la matita, a forma di parentesi. Leggo: "Mangiavo una mela e camminavo. Cercavo la solitudine e forse l’assoluto. Ma invidiavo il mondo."

 
 
 
Alla pagina 178 del mio libro The Sound of The Woodpecker Bill: New York City, su un piano di cemento c’è un torsolo di mela, davanti a una ringhiera che divide l’East River con la pedonale John Finlay Walk, all’altezza della 75th Street, a Manhattan.
 


 
  
Camminare non è solo spingere il corpo in avanti, ma è anche fermarsi a fare una pausa, ripensare alla distanza consumata, prepararsi alla ripartenza mangiando una mela. È una questione di ritmo.

Alla pagina 87, sempre dello stesso libro, scrivo:

Walking
During the spring of 2016, I decided to walk along all the borders of the city. I was living with Francesca in Har- lem, on 123rd Street and Manhattan Avenue, on the third floor of a red brick house with a white ceramic phea- sant staring out from a windowsill in the living room. Sometimes I would go around on foot. Other times, on my bicycle, I would reach the end of the subway line, chain my bike to a post and start walking until I was dead beat. I would carry a rucksack with me for my cameras, a Zoom sound recorder, a notebook and pen, lots of HP5 400 medium format black-and-white film rolls, a map, water flask, some energy bars, and an apple.”
  
 
Oggi a Milano c’è un cielo da neve, proprio come nella pagina di sinistra che mi hai mandato tu ieri sera, della quale conosco bene la punteggiatura di quel sentiero nell’Appenzello svizzero. Chissà se anche Robert Walser si portava con sé, oltre al cappello e all’ombrello, una mela quando usciva per andare a fare la sua passeggiata quotidiana nei dintorni di Herisau, sull’Appenzello svizzero, per poi mangiarla seduto su una panchina prima di ridiscendere la collina verso la clinica dove viveva.

Nell’unica fotografia che lo ritrae steso sulla neve con uno pugno stretto e il cappello poco distante, in quel giorno di Natale del 1956, non sono state rinvenute tracce di torsoli di mela vicino al suo corpo, ma mi piace pensare che il suo ultimo respiro affannato, prima di precipitare nel bianco delle neve, fosse la conseguenza di un lancio di un torsolo di mela in direzione del bosco, oltre questa staccionata.
 
 

 
 
 
Questa fotografia è stata scattata da me nel Dicembre del 2010 a Herisau, esattamente nel punto in cui Robert Walser si è spento il giorno di Natale del 1956. Oltre la staccionata che si intravede sul lato destro dell’immagine, la collina ridiscende verso un bosco il quale, poco dopo che scattai la fotografia, si coprì di nebbia e la collina intera si cancellò. 
 

A Roma domani nevica, 2010, Antonio Rovaldi
Courtesy l’artista

 
 

 
 

Ilaria Mancia curatrice del progetto Tràccia.
 
Antonio Rovaldi ha studiato arte e fotografia a Milano con Hideyoshi Nagasawa e Mario Cresci. La sua ricerca ruota attorno a temi riguardanti il ​​paesaggio e la percezione dei luoghi a distanza. La sua pratica artistica si basa sul camminare e percorrere lunghe distanze in bici, e lo studio dei luoghi che attraversa spesso ha una relazione con la letteratura. L'uso della scrittura in relazione alle immagini è un elemento costante della sua ricerca. Lavora principalmente con fotografia, video, scultura e disegno.

Nel 2006 ha vinto il Premio New York alla Columbia University e nel 2009 è stato Artist in Residence presso l'ISCP di Brooklyn. Le sue mostre personali includono quella alla Galleria Michela Rizzo a Venezia (Caro Michele, da Edgecombe a Qumalai / con Michael Hoepfner) al Museo MAN di Nuoro (Mi è scesa una nuvola, 2015); Monitor, Roma (Orizzonte in Italia, 2013); The Goma in Madrid (Domani pensami in battaglia, 2013) e Hirshhorn Museum a Washington DC (The Opening Day, 2012). Tra le sue mostre collettive recenti: Fondazione Prada (Give Me Yesterday, 2016), Fotografia Europea a Reggio Emilia (La Via Emilia. Strade, viaggi, confini / Nuove esplorazioni, 2016). Nel 2015 ha pubblicato il libro Orizzonte in Italia con Humboldt Books e MAN (2015), il risultato del suo lungo viaggio lungo la costa della penisola italiana e della Sardegna per fotografare l'orizzonte. Sempre nel 2015 il suo Detour in Detroit con Francesca Berardi è stato pubblicato da Humboldt Books (2015), raccontando la storia di una delle città più affascinanti del 21° secolo attraverso una serie di incontri con una varietà di persone che stanno costruendo il suo presente e immaginando il suo futuro. Les Cerises ha pubblicato un suo libro per bambini, ispirato a New York e intitolato New York City Babe, dedicato alla città e alla fotografia allo stesso tempo. Al momento sta lavorando a un progetto complesso che lo vede camminare nei cinque distretti di New York per raccontare i confini della città attraverso il suo rapporto con le immagini e la scrittura. Allo stesso tempo, sta preparando un nuovo viaggio in bicicletta in Irlanda dedicato a un unico colore: il verde.